Domenica delle Palme Lettura dalla Passione di Matteo Commento di Paolo Curtaz, dal sito www.tiraccontolaparola.it Il Dio donato Gesù sale su di un asinello che si inerpica deciso sul fianco della collina, sulla strada che costeggia le imponenti mura, per entrare nella città santa. La gente lo riconosce, alcuni bambini gli corrono innanzi, alcuni tagliano rami di palma e di ulivo, qualcuno grida “osanna”. Arriva il Messia, Gerusalemme, arriva il tuo re. Arriva dal monte degli ulivi, perché di la sarebbe arrivata la salvezza, cavalcando un puledro d’asina, come profetizzato da Zaccaria. Re da burla, potente che non si prende sul serio, Gesù entra nella città che uccide i profeti. Me lo vedo, il Signore. Abitudini Siamo talmente abituati alla morte di Dio, talmente riempiti di riflessioni e meditazioni, e stanche prediche sulla salvezza, da avere tutto chiaro, tutto colto, tutto imparato. Non ci serve null’altro. Al più qualche emozione resa possibile dalle nuove tecniche, dalla modernità e dai prodigi della tecnica, una cruenta passione come quella di Gibson, ma nulla di più. E assistiamo ancora una volta al dono di Dio come se fosse una cosa dovuta, un evento banale, quasi abitudinario, presente ma debole, scontato ma inutile. Peggio: ci fermiamo alla crosta, ascoltiamo e diciamo parole di cui non conosciamo veramente il significato. Gesù è morto per noi. E nessuno sente il bisogno di salvezza. Egli è morto per i nostri peccati. E noi stiamo attenti a sottolineare i peccati degli altri. Ha donato se stesso. E non sappiamo che farcene di questo dono. Avessimo il coraggio di tornare a quei giorni, di riviverli, di lasciarci interrogare e scuotere! Avessimo il coraggio di osare perforare i Vangeli, di toglierli dalla patina di incenso che li avvolge per guardare negli occhi il Nazareno che ha deciso di donarsi fino in fondo. Lo spettacolo è pronto, tutti i protagonisti sono la loro posto. Ha inizio la morte di Dio. La scelta Gesù arriva alla fine dei suoi intensi tre anni con un pugno di mosche in mano: l’umanità non ha capito. I suoi discepoli, preziosi e amati, sono fermi alla contraddizione del potere e della gloria e inchiodati al proprio (evidente) limite; i capi religiosi avvertono la forza destabilizzante della sua predicazione; la folla segue il vento della moda. Gesù non ha alcuna possibilità di farcela, la sua scommessa è persa. Non è servito, non è bastato, non è sufficiente tutto l’amore che ha donato. Forse aveva ragione l’avversario, là nel deserto: troppo ingenuo questo modo di operare. Davvero Dio pensava di trattare con gli uomini alla pari? Di aprire il loro cuore col sorriso? Di presentarsi vulnerabile? La...
Read MoreOmelia 2 marzo 2014 Mt 6, 24-34: Non abbandonarti alla tristezza 1. Non preoccupatevi “State buoni se potete”… non è questa la consegna del Vangelo per i discepoli di Gesù. Al contrario di quanto abbiamo tante volte pensato, il Vangelo non ci invita ad una vita moralmente buona per guadagnarci il paradiso. Ci invita ad una vita buona perché siamo felici, perché possiamo godere di essa e ringraziare Colui che ce la vuole donare con abbondanza. E ce la donerà in pienezza in quel Regno che già ora, qui, dobbiamo cercare con tutte le nostre forze: “cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia”, dice infatti Gesù. Ora. Qui per voi. Per questo la parola chiave del vangelo di oggi è “non preoccupatevi”. Sei volte ricorre questo verbo che ci invita a non essere ansiosi, a non essere turbati dalle preoccupazioni, a non affannarci per questo e per quello. Ancora una volta un invito “impossibile” del Vangelo? Soprattutto per noi, uomini e donne di questo tempo competitivo, frettoloso e perennemente affannato? Come sempre il Vangelo viene annunciato per la nostra libertà. E’ “Vangelo”, buona notizia per la vita in ogni sua pagina, anche in quelle che ci sembrano essere “le parole dure di Gesù”. Esigenti, forse, come è esigente per il bene dell’altro colui che ama, ma mai “dure” nel senso di pretenziose e giudicanti. Dio è il Dio dell’amore e della libertà, non della pretesa e del dominio. Scrive Papa Francesco in Evangelii Gaudium al n. 4: “E’ la gioia che si vive tra le piccole cose della vita quotidiana, come risposta all’invito affettuoso di Dio nostro Padre: Figlio, per quanto ti è possibile trattati bene… Non privarti di un giorno felice (Sir 14, 11-14). Quanta tenerezza paterna si intuisce dietro queste parole” (n. 4). Il v. 14 del Siracide continua: Non ti sfugga alcuna parte di un buon desiderio. Davvero la preoccupazione è il nemico della “vita buona”. Ed è anche il vizio più nascosto, più velato del fatto che non apparteniamo al Signore, ma solo ai nostri egoismi che combattono nel nostro cuore. Preoccuparsi è la grande tentazione che rivela, forse più di tanti altri vizi, che non c’è ancora la scelta autentica e piena di Dio come proprio unico Signore. Nella sua apparente innocenza, questa occupazione del cuore da parte di tanti affanni manifesta che esso non appartiene a Dio. Ecco perché è centrale il tema del “servire”, come dice il v. 24: a cosa è asservito il nostro cuore quando è ingombro, appesantito, indisponibile a cercare ciò che conta di più? 2. Dio o mammona Questo Vangelo, quindi, è molto concreto....
Read MoreDal Vangelo secondo Matteo 5,38-48 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Commento di Paolo Curtaz dal sito www.tiraccontolaparola.it Paradossi Gesù ama i paradossi. Punta in alto, osa, sposta in alto l’assicella perché sa bene che noi uomini tendiamo sempre ad attenuare, ad annacquare, ad essere molto esigenti con gli altri e troppo condiscendenti con noi stessi. No, non è venuto a cambiare la strada che conduce al Dio di Israele, ma a portarla a compimento. Le beatitudini sono la pienezza della Torah. Stolto chi cambia anche solo un tratto di quanto egli dice. Non vivere la radicalità del vangelo è come usare un sale scipito, come mettere la lucerna sotto allo sgabello: un’idiozia. Nell’impegnativo discorso della montagna Gesù, con coraggio e autorevolezza inaudite, mette in discussione alcuni capisaldi della fede. Tradizioni umane spacciate per divine, temi molto sensibili che andavano a coinvolgere la sensibilità spirituale ma, ancora di più la vita concreta. L’orizzonte è quello descritto dalla prima lettura: siamo chiamati a condividere la santità del Dio di Israele che non è una divinità separata dal mondo ma un amico che desidera la felicità degli uomini e si adopera perché essi la raggiungano… Domenica scorsa abbiamo preso quattro questioni fondamentali: l’omicidio che non è solo quello fisico, il perdono che vale più del culto, l’adulterio come tradimento al sogno di Dio e il giuramento come visione pagana di Dio e del fratello. A chiudere il cerchio, oggi, due questioni delicate: la giustizia e l’uso della violenza. Occhio per...
Read MoreDal Vangelo secondo Matteo 5,20-22.27-28.33-34.37 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo! Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è...
Read MoreOmelia di Don Ivo Seghedoni Mt 5, 13-16: Identità e missione 1. Una chiesa saporita e luminosa Osservando la vita, Gesù è capace di esprimere in immagine semplici ciò che noi spieghiamo con lunghi ragionamenti. E nel vangelo di oggi questa sua competenza è ancora più viva, perché Gesù utilizza immagini limpide e chiare, immagini che vanno prese nel loro senso ovvio. “Voi siete sale della terra e luce del mondo”: siete, cioè punto di riferimento e di trasformazione, siete il sapore e il colore delle cose, pena l’inutilità più completa. Un sale che perde il sapore perde la sua identità, così come una luce che viene nascosta e non illumina. Gesù dice, senza ambiguità, che la comunità dei discepoli, cioè la Chiesa, è profezia nel mondo non tanto con le sue parole, ma anzitutto con le sue opere. E la prima lettura specifica che queste opere sono le opere della giustizia: quelle di chi sa condividere con chi è misero, di chi rispetta le relazioni, di chi rigetta l’ingiustizia e la calunnia. “Allora la tua luce sorgerà come l’aurora… la gloria del Signore ti seguirà… brillerà tra le tenebre la tua luce”. Ma quello che colpisce di più in questo vangelo, così diretto e semplice, è il fatto che Gesù non dica “voi dovete essere”, ma “voi siete”. La Chiesa è luce del mondo o non è. La chiesa è sale che dà sapore o non è chiesa. In altre parole, Gesù ricorda alla Chiesa la sua identità: si può parlare di Chiesa solo quando una comunità, seguendo Gesù e il suo insegnamento, persegue la giustizia e la carità e così risplende nel mondo come segno di trasformazione e annuncio di un mondo nuovo. La Chiesa è quindi come un fiume carsico: ogni tanto c’è e ogni tanto “scompare”. Perché quando è insipida e “sciocca”, quando è tenebrosa e peccatrice, essa “muore” e a null’altro serve che ad essere “calpestata dalla gente”. 2. Istituzione religiosa o comunità di vita? Purtroppo noi con il termine “Chiesa” identifichiamo una istituzione religiosa gerarchicamente ordinata e impiantata sul territorio in “distretti” coordinati da “prefetti” nominati dall’alto… Certo, la Chiesa è anche organizzazione umana: ma essa, priva della sua anima di cui Gesù ci parla in questo Vangelo, diviene soltanto una umana istituzione, del tutto simile – anche nelle dinamiche di potere e di carriera – ad ogni altra istituzione. Ma la Chiesa, pur avendo un organismo visibile, è anzitutto una realtà di comunione: è un popolo in cammino seguendo i passi del suo Signore, è una realtà invisibile eppure eloquente di condivisione della giustizia, di azione di carità, di pratica di misericordia,...
Read MoreCommento al Vangelo di Card. Piovanelli MATTEO 4, 12-23 Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti ! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta ». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. Uno dei modi possibili di lettura del testo di Matteo è seguire gli atti e le parole di Gesù come una creazione, la nascita di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, di un popolo nuovo. Il luogo dove risuona la parola che chiama alla conversione, e quindi provoca la nascita, è il paese di Zabulon, il paese di Neftali, la Galilea delle genti. Non siamo nella zelante Giudea, nella santa città di Gerusalemme, cuore del Giudaismo. Siamo in una regione periferica, mezzo ebrea e mezzo pagana e perciò ritenuta impura: la Galilea delle genti (delle “genti”, cioè dei pagani), una regione cosmopolita e piuttosto eterodossa rispetto a Gerusalemme. Ma proprio in questa periferia – che simbolicamente rappresenta tutto il mondo immerso nelle tenebre – Gesù inizia il suo ministero. I Giudei non ammettevano che il Messia potesse venire dalla Galilea. Eppure – quale sorpresa! – c’è qui il compimento di un’antica profezia: era stato detto dal profeta Isaia. Queste le parole del profeta: Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata. “La luce – dirà l’evangelista Giovanni – splende nelle tenebre. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo (1,9). Io...
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