2 Marzo 2014

Posted in Commenti ai Vangeli


Omelia 2 marzo 2014

Mt 6, 24-34: Non abbandonarti alla tristezza

1. Non preoccupatevi

“State buoni se potete”… non è questa la consegna del Vangelo per i discepoli di Gesù.

Al contrario di quanto abbiamo tante volte pensato, il Vangelo non ci invita ad una vita moralmente buona per guadagnarci il paradiso. Ci invita ad una vita buona perché siamo felici, perché possiamo godere di essa e ringraziare Colui che ce la vuole donare con abbondanza. E ce la donerà in pienezza in quel Regno che già ora, qui, dobbiamo cercare con tutte le nostre forze: “cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia”, dice infatti Gesù. Ora. Qui per voi.

Per questo la parola chiave del vangelo di oggi è “non preoccupatevi”. Sei volte ricorre questo verbo che ci invita a non essere ansiosi, a non essere turbati dalle preoccupazioni, a non affannarci per questo e per quello.

Ancora una volta un invito “impossibile” del Vangelo? Soprattutto per noi, uomini e donne di questo tempo competitivo, frettoloso e perennemente affannato?

Come sempre il Vangelo viene annunciato per la nostra libertà. E’ “Vangelo”, buona notizia per la vita in ogni sua pagina, anche in quelle che ci sembrano essere “le parole dure di Gesù”. Esigenti, forse, come è esigente per il bene dell’altro colui che ama, ma mai “dure” nel senso di pretenziose e giudicanti. Dio è il Dio dell’amore e della libertà, non della pretesa e del dominio.

Scrive Papa Francesco in Evangelii Gaudium al n. 4: “E’ la gioia che si vive tra le piccole cose della vita quotidiana, come risposta all’invito affettuoso di Dio nostro Padre: Figlio, per quanto ti è possibile trattati bene… Non privarti di un giorno felice (Sir 14, 11-14). Quanta tenerezza paterna si intuisce dietro queste parole” (n. 4). Il v. 14 del Siracide continua: Non ti sfugga alcuna parte di un buon desiderio.

Davvero la preoccupazione è il nemico della “vita buona”. Ed è anche il vizio più nascosto, più velato del fatto che non apparteniamo al Signore, ma solo ai nostri egoismi che combattono nel nostro cuore.

Preoccuparsi è la grande tentazione che rivela, forse più di tanti altri vizi, che non c’è ancora la scelta autentica e piena di Dio come proprio unico Signore. Nella sua apparente innocenza, questa occupazione del cuore da parte di tanti affanni manifesta che esso non appartiene a Dio. Ecco perché è centrale il tema del “servire”, come dice il v. 24: a cosa è asservito il nostro cuore quando è ingombro, appesantito, indisponibile a cercare ciò che conta di più?

 

2. Dio o mammona

Questo Vangelo, quindi, è molto concreto. Le immagini straordinarie utilizzate da Gesù, non sono il segno di una sua visione naif dell’esistenza. Al contrario!

Gesù oppone una vita fatta di ansie e di preoccupazioni, dove siamo schiavi della paura del futuro o perseguitati dal passato, ad una vita nella quale siamo intensamente attenti al presente: “Guardate… Osservate” (v. 26 e v. 28): sono due imperativi, con i quali Gesù ci invita a non lasciarci sfuggire l’oggi per l’ansia del domani.

Ma questa libertà di vivere l’oggi nasce dalla fede in un Dio che ama, in un Dio che non si dimentica del suo figlio, in un Dio generoso e abbondante nel donare la vita. Esso è l’opposto dell’idolo, di mammona, dell’amore per il denaro e per il profitto, che invece rendono schiavi perché attanagliano nelle preoccupazioni, nell’ansia del futuro, nella paura di essere abbandonati dalla fortuna. Un Dio che ama, infatti, non dimentica, è un Dio che non pretende, un Dio che non guarda alle nostre performance per misurare il suo amore. Il profitto e la ricchezza, invece, possono facilmente cambiare padrone e lasciarci soli e vuoti e pretendono da noi una consacrazione incondizionata ed un impegno senza sosta.

 

3. Non abbandonarti alla tristezza

E’ vero però che il grido di Sion riportato dalla prima lettura è il grido, spesso soffocato, di tante persone che vivono situazioni di dolore o di severa privazione dei beni essenziali: “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”.

Questa protesta, questa preghiera “a rovescio”, quasi una bestemmia, fa pensare che in concreto gli uomini e le donne possono credere in un Dio che non dimentica solo se incontrano una Chiesa che non dimentica. E’ la nostra cura e il nostro amore, la nostra attenzione alla giustizia e la nostra carità che testimoniano che il Signore non dimentica… se noi siamo capaci di commuoverci per la pena dei poveri e di chi soffre, allora è possibile credere ad un Dio che si commuove. Altrimenti raccontiamo favole…

Ma credere in un Dio che non dimentica significa condurre una lotta: una lotta contro la preoccupazione e il dolore, come una lotta contro il desiderio e le sue pretese.

Vivere una vita buona chiede a ciascuno di noi di saper dare due confini: anzitutto il confine al dolore e in un certo senso alla responsabilità, quando questa diventa onnivora e divora tutto il nostro tempo. E poi un confine al desiderio che può a volte innalzare pretese assurde, costringendo la nostra gioia dentro attuazioni senza le quali ci sembra impossibile vivere.

Vivere una vita buona, invece, significa saper respingere gli attacchi del dolore e della responsabilità, come saper respingere gli attacchi del desiderio e della sua pretenziosità. Non è il sapersi accontentare: esso è, piuttosto, il saper cogliere il presente: vederlo, comprendere la grazia che porta in sé, coglierne la promessa, limitata ma concreta che esso contiene. C’è un arte di vivere che sa trarre il buono dall’esistenza e ne sa godere nonostante i limiti e le mancanze e sa governare il desiderio e i suoi eccessi. E’ questo equilibrio che ci dà la lucidità di “cercare anzitutto” quello che conta; non di rinunciare a cercare quanto è necessario e utile, ma a saper dare priorità.