Commento al Vangelo di Card. Piovanelli
Gv 1, 24-34:
1. Io non lo conoscevo…
“Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato. Io non lo conoscevo. Quando ho annunciato a tutti l’arrivo di Colui che viene, neanch’io sapevo chi fosse”.
Può sembrare strana quest’affermazione di Giovanni. Chi poteva conoscere Gesù meglio di lui! Eppure lo ripete un’altra volta: “Io non lo conoscevo”.
I vangeli ci dicono che le loro famiglie si conoscevano. Giovanni, quindi, conosceva l’origine di Gesù e la sua famiglia. Anzi Giovanni stesso ci dice che Gesù era uno dei suoi discepoli, perché dice: veniva dietro a me. Ma poi aggiunge: Solo dopo ho capito che in realtà è avanti a me, perché era prima di me.
Un conto – dice Giovanni – è sapere il nome o l’origine di una persona, un conto è conoscerla nell’intimo e comprendere il suo mistero nascosto.
“Io non lo conoscevo” significa che non aveva ancora compreso il mistero di Gesù, finché non gli è stato rivelato da Colui che lo ha inviato: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. Finché non ha visto lo Spirito discendere su Gesù e trasformarlo, Giovanni non sapeva chi era veramente Gesù. Gesù era un uomo apparentemente come tutti gli altri. Nessuno avrebbe potuto immaginare che fosse il Figlio di Dio. Ma dopo aver visto la sua trasformazione per opera dello Spirito, Giovanni può dire: E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio.
Giovanni non vede lo Spirito, perché lo Spirito è invisibile, ma vede che lo Spirito rimane su Gesù. In altre parole, vede che lo Spirito rende Gesù un uomo spirituale, un uomo cioè pieno di energia divina, pieno di amore e libertà. Non vede lo Spirito, ma vede la sua azione trasformatrice.
Vede pure che Gesù è capace di comunicare l’amore e la libertà con cui vive. Infatti è lui che battezza nello Spirito Santo. Gesù, pieno di Spirito Santo, può immergere gli altri nello stesso Spirito di amore e di libertà.
E Giovanni stesso ne ha fatto esperienza. Infatti, “io non lo conoscevo, ma ora lo conosco”, vuol anche dire: “Io non aveva ancora sperimentato la sua forza di trasformazione, ma, ora che ho visto, posso testimoniarla: ha trasformato anche me”.
2. Il testimone
Un vero testimone è come Giovanni: un uomo intimamente cambiato da ciò che ha visto, profondamente trasformato dall’incontro che ha fatto.
Questa è la vera esperienza spirituale. Quella che ti trasforma. Se non è cambiato nulla in te, come puoi dire di aver ricevuto lo Spirito? Puoi aver compiuto dei riti, puoi aver ricevuto validamente dei sacramenti… ma ricevere lo Spirito vuol dire in poche parole esserne trasformati.
Tu non puoi parlare agli altri di Gesù, se non a partire da come sei cambiato.
Anche tu sei un testimone, se puoi dire: Neanch’io conoscevo la forza dello Spirito. Non conoscevo questo amore, questa libertà interiore, questo differente modo di vivere. Non sapevo neanche cosa fosse. Ma ora la conosco, perché ho conosciuto Gesù. Non sono migliore di nessuno, e non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno. Non ho niente di più da dirti, se non che prima ero cieco, sordo… ora vedo, ascolto… grazie a lui.
Questa è la testimonianza umile e forte di Giovanni: racconta che qualcosa in lui è cambiato: Prima non conoscevo, ora conosco.
E non è un’idea astratta, ma un’esperienza concreta e sensibile: si può vedere, udire, toccare con mano. Mi vengono in mente le parole con cui Sant’Agostino racconta la sua conversione nelle Confessioni: Tardi t’amai, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi t’amai! Ed ecco, tu eri dentro di me ed io ti cercavo fuori di me. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.
Questa è l’unica testimonianza credibile: la mia vita trasformata da Colui che si è caricato del mio peccato e mi ha guarito.
3. L’esperienza della guarigione
Ecco perché Giovanni chiama Gesù l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Il nostro peccato, che ci schiaccia, ci umilia e ci deforma, viene sollevato sulle spalle di Gesù. L’agnello dell’espiazione è colui che viene caricato del peccato del popolo. Gesù si fa carico di questo peccato liberamente e consapevolmente. Prima di morire, infatti, dice: Questo è il calice del mio sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati.
E noi ripetiamo l’acclamazione di Giovanni, prima di mangiare il pane e bere al calice, perché abbiamo fatto l’esperienza di questo amore trasformante: in Gesù, il peccato che gravava sulle nostre spalle, ci è tolto. E lo porta lui. Siamo invitati alla sua mensa perché ci riconosciamo peccatori perdonati.
Allora questo vangelo ci dice qual è l’unica via possibile per testimoniare il Vangelo:
– Sentirci dei peccatori il cui peccato è stato caricato sulle spalle da Gesù e non credersi migliori degli altri.
– Non pensare di esser dei maestri dotati di un sapere superiore e non presumere di giudicare quelli che, secondo noi, non sanno o non conoscono. Neanche noi sapevamo chi era Gesù. E se pensiamo di saperlo meglio degli altri, forse ci stiamo illudendo di essere dei veri credenti.
– Non pretendere di essere solo noi a parlare di Gesù, ma ascoltare chi ha vissuto o sta vivendo un cambiamento nella sua vita: in quella trasformazione è all’opera lo Spirito Santo. Abbiamo ancora tanto da imparare.